Liner Notes (le note di copertina)
Questa è Speakeasy, la newsletter che si crede un podcast.
Speakeasy è quella newsletter che si crede un podcast e che a partire dal 05.05.25 uscirà ogni due settimane. Questa è una “intro”, un “trailer”… è “l’invito”.
E la ascolti premendo play qui sotto.
La versione breve di questo post può essere: Speakeasy nasce come podcast che tratta di jazz. E qui trovi le note di copertina per ciascun episodio.
Cercando di andare con ordine (anche se questa cosa non la assicuro affatto), parto dal motivo per cui ho scelto il mondo delle note di copertina per questo spazio.
Liner Notes è uno spazio per completare il racconto, proprio come accadeva con le note di copertina nei vinili e nei CD. Quelle righe di testo che accompagnavano la musica e aggiungevano significato, contesto e dettagli che altrimenti sarebbero rimasti in ombra.
Per un attimo ho pensato di chiamarla Sidebar (barra laterale, come nei siti web), ma Liner Notes ha un fascino più esotico, più legato alla tradizione della musica su disco. E poi, diciamocelo, suona meglio.
Le liner notes hanno una storia lunga: nascono con i vinili a 33 giri (purtroppo adesso non ci sono praticamente più, mancano anche dai dischi jazz dove queste parole sono distribuite in posti sulla rete), quando ogni album veniva venduto con un libretto pieno di parole. Dentro ci trovavi di tutto: pensieri dell’artista, dettagli sui musicisti, spiegazioni dei testi, analisi critiche. Era un modo per entrare nel cuore del disco, per scoprire non solo chi suonava, ma anche perché lo faceva in quel modo.
Oggi quel concetto sembra sfuggirci. La musica si ascolta in streaming, senza più un supporto fisico che ci aiuti a contestualizzarla. Ma la necessità di capire, di approfondire, di dare alla musica una dimensione più ampia non è scomparsa: semplicemente, bisogna ritrovarla.
Liner Notes vuole essere questo: un ritorno all’esperienza dell’ascolto arricchito da storie, spunti di riflessione e dettagli che danno profondità ai brani e agli argomenti trattati nel podcast.
Che, alla fine, è un altro piccolo podcast sul jazz.
E se ti dicessi che il jazz non è solo musica, ma un modo di raccontare storie? Immagina una strada di New Orleans, le luci soffuse, il suono di un pianoforte che danza nell’aria come una conversazione intima tra vecchi amici. Ogni nota ha qualcosa da dire, ogni pausa nasconde un segreto. E ogni storia ha un punto di partenza, un’idea centrale, quel momento in cui pensi: “Ah, ora ho capito dove stiamo andando.” Nel jazz, quel momento si chiama tema.
Pensa a una melodia che ti rimane in testa, quella che canticchi distrattamente mentre sei in fila al supermercato. È familiare, rassicurante, ma nel jazz è solo l’inizio. Da lì, i musicisti partono per un viaggio imprevedibile, trasformando ogni nota in qualcosa di nuovo, unico, irripetibile. È come una torta al cioccolato: la ricetta è chiara, ma ogni volta puoi aggiungere un tocco speciale—fragole, panna montata, magari un pizzico di peperoncino. Eppure, anche con tutte le variazioni, la torta resta sempre la stessa. Così funziona il jazz: un gioco tra ciò che conosci e ciò che non ti aspetti.
Speakeasy nasce con lo stesso spirito. Ogni episodio è costruito intorno a un tema—un evento, un’idea, un personaggio che ha cambiato il corso della musica e della cultura. Ma, come nel jazz, non mi voglio fermare al copione. Divaghiamo, improvvisiamo, lasciamo spazio alle sorprese. C’è sempre un racconto centrale, ma anche le deviazioni, le svolte inaspettate, quelle note fuori dallo spartito che rendono tutto più vivo.
E poi c’è un’altra cosa: Speakeasy non è mai una sola cosa. Vive nel suono, nel podcast, dove parole e note si intrecciano creando un’esperienza da ascoltare. Ma prende forma anche nel testo, dove ogni episodio si distende su carta, prende un’altra direzione, acquista una vita propria. Due facce della stessa medaglia, proprio come un pezzo jazz che non segue schemi rigidi, ma si lascia guidare dall’ispirazione.
Quello che stai leggendo ora? È il tema. Il punto di partenza. Da qui, in ogni episodio, esploreremo assoli, fughe, improvvisazioni. Torneremo sempre a casa, ma senza paura di spingerci lontano. Là dove il jazz e le sue storie ci portano.
E forse ora stai pensando: “Jazz? No, grazie. Troppo complicato per me.” Ti sembra un groviglio di suoni senza senso, un enigma musicale che solo pochi eletti possono decifrare. Ma se ti dicessi che il jazz non è caos, ma libertà? Non è un rebus da risolvere, ma un invito a sentire, a vivere, a essere te stesso.
Non serve una tessera d’ingresso per capirlo. Non è un club esclusivo con un dress code impossibile. Il jazz è un gigantesco parco giochi dove chiunque può entrare. Ti sussurra: “Non devi essere perfetto. Racconta chi sei.” Ti lascia correre libero, saltare le regole, ballare al ritmo della tua storia. Non serve essere esperti per goderselo. Basta chiudere gli occhi, lasciarsi andare, e vedere dove ti porta.
E dimentica l’idea che il jazz sia solo musica per intellettuali che annuiscono seriamente davanti a un assolo di tromba. Il jazz è divertimento puro. È la colonna sonora di serate sfrenate, di amori improvvisi, di sogni che prendono forma nel fumo di un club affollato. È la musica che ha fatto ballare generazioni, che continua a far muovere chiunque abbia voglia di lasciarsi trasportare. Non è solo tecnica o teoria: è emozione. È uno specchio che riflette tutto ciò che siamo—non solo fatica e lotta, ma anche gioia, speranza, desiderio.
Speakeasy parte proprio da qui. Dal jazz come linguaggio universale, come racconto in continua evoluzione. È più di un genere musicale: è una chiave per capire il mondo, un ponte tra passato, presente e futuro. Un invito a fermarsi un attimo, respirare profondamente e ascoltare davvero.
Ora. Non volevo anticipare nulla, volevo che tutto fosse un salto nel vuoto. Le “anticipazioni”, le “anteprime” mi tolgono sempre un po’ di sorpresa ma sono anche consapevole che un minimo di introduzione è dovuta. Provo ad essere conciso e chiaro allo stesso tempo, spero di metterci poche righe.
Per dare una struttura iniziale a Speakeasy, avevo diverse possibilità, ma ho scelto di partire con un prologo suddiviso in più parti, intrecciando piccole narrazioni. Questo passaggio iniziale serve a darti il contesto giusto, a farti sentire a tuo agio prima di immergerti nelle storie vere e proprie. Voglio che tu abbia un’idea chiara del territorio in cui ci stiamo muovendo.
La prospettiva inizierà dall’alto, come uno sguardo panoramico, per poi restringersi gradualmente, fino a diventare una lente d’ingrandimento puntata sulle singole vite o a volte su singoli momenti. Ti invito, come farebbe il jazz, a seguire il flusso con pazienza. E fin da ora, grazie per il tuo tempo.
E se sei arrivato fin qui, sappi che il tuo viaggio è già iniziato. Il jazz non si spiega, si ascolta e si vive.
E Speakeasy è qui per provare ad accompagnarti, senza lezioni noiose, senza spiegazioni complicate.
Solo storie, note e libertà.
Perché il jazz è memoria.
Ogni battito è una storia.
Ogni ritmo, una resistenza.
È tempo che diventa suono.
È vita che aspetta solo di essere ascoltata.
Sei pronto? Facciamo il primo passo insieme.